Storia
Ultima modifica 20 settembre 2024
L'insediamento storico per Valmadrera è accertato in epoca romana, ma qualche induzione sugli abitanti può essere fatta solo dopo il Mille. L'origine del toponimo non è certa, ma sembrerebbe derivare dal sassone mager (luogo di pascolo), oppure da materaria (luogo ricco di legname). La derivazione prossima riconduce sicuramente a Val Magrera.
Verso la fine del Duecento, attraverso l'elenco delle chiese, è possibile vedere la prima delineazione del paese: esistevano piccoli nuclei di abitazioni a San Dionigi, Caserta, al Ceppo e a San Tomaso, gravitanti attorno alle rispettive chiesette.
Fino al Cinquecento, tuttavia, le testimonianze riguardanti lo sviluppo del paese sono assai scarse, se non addirittura inesistenti.
Utili per tracciare un quadro di Valmadrera sono l'archivio parrocchiale e quello della famiglia Gavazzi, ricchi entrambi di documenti relativi alla vita e allo sviluppo del paese.
Nelle vicende di Valmadrera assunsero notevole importanza alcune famiglie che diedero lustro al paese e lasciarono un'impronta significativa: dapprima appaiono appena, poi gradatamente accrescono i loro beni, svolgono carriere politiche, ecclesiastiche, conservano per qualche secolo le posizioni raggiunte e quindi iniziano la curva discendente, ora lenta, ora precipitosa; a volte la decadenza di una famiglia determina l'ascesa dell'altra.
Nei primi anni del Cinquecento, il centro di Valmadrera non era quello attuale, gravitante intorno alla chiesa di S. Antonio. Il nucleo maggiormente popolato era quello di Caserta (già allora si chiamava così) dove la famiglia Mandelli possedeva una decina di case. Intorno alla metà del Cinquecento si ha l'ascesa della famiglia Bonacina, che portò allo sviluppo il nucleo del paese attorno alla chiesa di S. Antonio. La crescita fu tanto rapida da indurre S. Carlo Borromeo ad ordinare il trasferimento della parrocchia dalla chiesa di S. Martino all'oratorio di S. Antonio.
La coltivazione dei campi, l'allevamento del bestiame e lo sfruttamento del bosco costituivano la principale occupazione della popolazione: era mezzo di arricchimento per i possidenti e mezzo di sostentamento per gli altri, occupati come lavoranti a giornata o massari.
Il parroco Gerolamo Ruglerio, venuto nel 1574, riuscì a rendere attiva la popolazione, attuò in concreto il trasferimento della sede parrocchiale a S. Antonio e diede avvio alla costruzione della chiesa; costituì inoltre nel 1583 la confraternita del SS. Sacramento.
Per tutto il Seicento le famiglie più importanti furono i Bonacina e i Mandelli, patroni di S. Dionigi, eredi dei quali furono i Fatebenefratelli.
Il Settecento fu un secolo ricco di iniziative. L'agricoltura e l'allevamento erano fiorenti, i terreni circostanti gli agglomerati erano molto fertili, con ampi spazi arati verso il meridione e ronchi e vigneti arrampicati sui colli: tutti portavano l'uva al grande torchio dei Fatebenefratelli presso la Chiesa. I proprietari terrieri erano numerosi, ma dominavano gli Orrigoni, i Butti, i Dell'Oro, i Bonacina e i Fatebenefratelli
Verso la seconda metà del Settecento, quando lo Stato di Milano era ormai saldamente nelle mani dell'Austria, per un complesso di situazioni favorevoli, tra cui una lunga pace, alcune riforme amministrative, oculati provvedimenti di politica economica e l'incremento demografico, prese avvio un importante sviluppo dell'agricoltura che sarebbe continuato fino ai primi anni dell'Ottocento. Sono datati intorno alla metà del Settecento anche tre molini da seta, posti sulle rogge del rio Torto. La bachicoltura, che alla metà del Seicento era praticata solo da alcune famiglie, diventò nel settecento una pratica normale per tutte le famiglie contadine. Oltre all'incremento dell'agricoltura si ebbe, in questo periodo, anche un primo avvio di tipo artigianale della lavorazione del ferro.
Alla fine del Settecento inizia l'ascesa della famiglia Gavazzi: intraprendenti e lungimiranti, sempre attenti a scoprire nuove tecniche e ad usufruire di nuovi metodi di lavorazione praticati in Francia, a volte migliorandoli, nell'arco di un ventennio divennero una delle più importanti industrie seriche della Lombardia e con essi Valmadrera passò da un'economia di tipo artigianale ad una industriale. Per tutto l'Ottocento l'industria tessile in Valmadrera continuò ad espandersi, fino alla grave crisi del 1930/1933, riprendendosi poi grazie alla lavorazione delle fibre sintetiche. Alcuni anni dopo l'ultima guerra le filande scomparvero definitivamente e, poco più tardi, scomparvero anche i filatoi. Dagli inizi del Settecento, attraverso lo sviluppo industriale dell'Ottocento fino alla sua estinzione, l'era della seta in Valmadrera era durata più di due secoli.
Nei primi decenni dell'Ottocento, il paese, ricco, volle la sua nuova, immensa chiesa, poiché quella esistente non era più sufficiente per l'accresciuta popolazione.
E la nuova parrocchiale risultò tanto imponente che lo scrittore Antonio Ghislanzoni così descrisse Valmadrera in un articolo del 1869: "Valmadrera, per chi lo vedesse in distanza, è un immenso tempio sovrastante un gruppo di piccole case. Le case considerate da vicino, non sono più meschine né più disadorne che in altri paeselli campestri. Al contrario. Tutte quante, anche le meno appariscenti, rivelano l'agiatezza, il buon gusto, l'amore delle pulitezze e dell'ordine; non hanno che un solo torto: quello di sottostare ad una mole gigantesca dalla quale vengono umiliate."
La Chiesa parrocchiale, dedicata a S. Antonio Abate, è affacciata sulla piazza principale ridisegnata ed inaugurata l’11.12.2009, intitolata a Monsignor Bernardo Citterio, vescovo nativo di Valmadrera. La costruzione dell’edificio inizia alla fine del Settecento su un fabbricato preesistente del quale si conserva il campanile cinquecentesco, ben visibile dal cortile del vicino Centro Fatebenefratelli. Al progetto presero parte Clemente Isacchi (a cui si deve il progetto originario), Giuseppe Pollack, Simone Cantoni e soprattutto Giuseppe Bovara. Nell’interno possono essere ammirati affreschi di Raffaele Casnedi e di Luigi Sabatelli e il Cristo Morente del pittore monzese Mosè Bianchi (1879).
Nella seconda metà dell'Ottocento si cominciò a pensare anche alla costruzione di un palazzo comunale, in quanto l'Amministrazione comunale non aveva mai avuto, fino ad allora, un locale adatto dove riunirsi. Il problema della sede comunale si trascinò a lungo e dovevano passare parecchi anni prima che venisse affrontato con le dovute urgenze. I primi contatti con le autorità si ebbero nel 1864, ma solo nella seduta del 28 maggio 1867 il Consiglio comunale autorizzò la Giunta a "provvedersi di migliori e più ampi locali ad uso degli asili infantili, ufficio e scuole comunali".
Il 24 novembre dello stesso anno cominciarono anche le trattative con la direzione dei Fatebenefratelli per l'acquisto del terreno adatto in località CHIOSO. A quei tempi il "chioso" era una vasto appezzamento che partendo dall'attuale via Mazzolari, terminava in Via Roma. I lavori vennero affidati alla ditta Antonio Todeschini di Lecco. Durante la costruzione, il piano del palazzo che era destinato a semplice solaio , venne adibito ad appartamento civile e si fecero altre migliorie, tra cui una solida cancellata esterna ed aggiunte non comprese nel progetto originario. L'approvazione del collaudo del palazzo venne eseguita il 12 luglio 1872 dal Consiglio comunale in seduta straordinaria.
Quello stesso anno l'asilo e le scuole vennero insediati nei locali al piano terreno. Nel 1875 furono eseguite altre opere di completamento.
Da questi brevi cenni storici si intuisce il processo di crescita di Valmadrera, continuo e regolare nel tempo.
Il paese ha sempre richiamato molti forestieri, però la popolazione è costantemente riuscita ad assorbire nel proprio tessuto sociale i nuovi elementi, conservando intatta al tempo stesso la sua identità culturale e la fiducia nella validità del proprio patrimonio tradizionale.
Stemma Comunale
Le origini dello stemma comunale sono ignote. Esso fece la sua prima comparsa sul frontone del fabbricato municipale nel 1868 e da allora fu riprodotto fedelmente sulla intestazione degli stampati e nei timbri d'ufficio del Comune, il quale tuttora continua ad esercitare tale vecchia usanza.
Lo stemma comunale, nella sua rappresentazione simbolica, è costituito da uno scudo moderno sul quale un'aquila nera in campo d'oro sta per innalzarsi in volo sorretta da tre cocuzzoli di monte.
Lo stesso è sormentato da una corona turrita con cinque torri visibili colore oro e fronde di quercia ed alloro trattenute da un fiocco tricolore sottostanti.
Lo scudo è attraversato da una banda rossa. I tre cocuzzoli di monte sul quale l'uccello rapace sta per prendere il volo rappresentano i Corni di Canzo, che fanno parte della montagna denominata Moregallo, alle cui pendici si trova il paese, che originariamente sorgeva più in alto, forse dove oggi è situata la frazione Gianvacca.
L'aquila nera in campo d'oro significa dignità, grandezza d'animo, prudenza, dominio e valore. Infatti benchè la storia dica ben poco degli abitanti di Valmadrera, pur tuttavia si sa che grandezza d'animo ebbero i Valmadreresi in occasione della distruzione della città di Lecco avvenuta sul finire del XIII secolo allorquando il Podestà di Milano di quel tempo, certo Salimbeni, uomo di inaudita ferocia, dette ordine che Lecco fosse distrutta. In questa circostanza appunto gli abitanti di Valmadrera, mossi da spirito di vera ospitalità, accolsero con piacere i poveri Lecchesi, dando loro alloggio ed una adeguata assistenza.